N. 01982/2015REG.PROV.COLL.
N. 09635/2014 REG.RIC.
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9635 del 2014, proposto da Desiree Digeronimo, rappresentata e difesa dall'avv. Pierluigi Balducci, con domicilio eletto presso il sig. Alfredo Placidi in Roma, Via Cosseria 2;
contro
Giovanni Lucio Smaldone, rappresentato e difeso dall'avv. Giovanni Vittorio Nardelli, con domicilio eletto presso Alfredo Placidi in Roma, Via Cosseria 2;
nei confronti di
Comune di Bari;
Ministero dell'Interno, U.T.G. - Prefettura di Bari, Ufficio Centrale Elettorale di Bari, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato e domiciliati con questa in Roma, Via dei Portoghesi 12;
Antonio Distaso, rappresentato e difeso dagli avv. Ignazio Lagrotta ed Emilio Toma, con domicilio eletto presso il primo in Roma, Via Lovanio 16 Scala B;
per la riforma
della sentenza del T.a.r. per la Puglia – Bari - Sezione I, 28 novembre 2014 n. 1470..
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio dei sigg. Giovanni Lucio Smaldone e Antonio Distaso, oltre che del Ministero dell'Interno, dell’U.T.G. - Prefettura di Bari e dell’Ufficio Centrale Elettorale di Bari;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 31 marzo 2015 il Cons. Nicola Gaviano e uditi per le parti gli avvocati Pierluigi Balducci, Giovanni Vittorio Nardelli, Ignazio Lagrotta, Emilio Toma e l'Avvocato dello Stato Federico Di Matteo;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1 Il sig. Giovanni Lucio Smaldone, quale candidato alla carica di consigliere comunale del Comune di Bari per la lista n. 24 (“Movimento Politico Schittulli”), collegata al candidato sindaco sig. Domenico Di Paola, nelle elezioni amministrative tenutesi in data 25 maggio 2014 - 8 giugno 2014, nonché in qualità di cittadino elettore, proponeva ricorso al T.A.R. per la Puglia impugnando il relativo atto di proclamazione degli eletti di cui al verbale dell’Ufficio centrale elettorale del 1° agosto 2014, oltre alla successiva delibera di Consiglio Comunale di convalida delle elezioni.
L’impugnativa veniva proposta nella parte in cui un seggio consiliare era stato attribuito al raggruppamento di liste facenti capo al candidato sindaco non eletto sig.ra Desiree Digeronimo, e indi assegnato a quest’ultima in forza della previsione di cui all’art. 73, comma 11, del d.lgs. n. 267/2000.
Parte ricorrente deduceva che tale raggruppamento non aveva superato la soglia di sbarramento del 3 per cento dei voti validi prevista dall’art. 73, comma 7, del citato T.U., come sarebbe stato necessario per accedere alla ripartizione dei seggi consiliari; e che il seggio in contestazione sarebbe stato, di riflesso, di pertinenza della lista “Movimento Politico Schittulli”, e quindi da assegnare a lui medesimo quale candidato consigliere risultato primo dei non eletti, collocato al terzo posto della relativa graduatoria di lista.
In resistenza al ricorso si costituiva in giudizio la controinteressata sig.ra Digeronimo, che deduceva l’infondatezza delle censure avversarie e domandava la reiezione del gravame.
Si costituivano, inoltre, l’U.T.G. - Prefettura di Bari e il locale Ufficio centrale elettorale, che eccepivano il proprio difetto di legittimazione passiva chiedendo, pertanto, di essere estromessi dal giudizio.
Interveniva infine ad adiuvandum il sig. Antonio Distaso, nelle qualità di cittadino elettore del Comune, delegato dell’associazione Movimento Politico “Forza Italia” alla presentazione delle liste nei comuni della Regione Puglia, nonché di vice coordinatore vicario regionale di “Forza Italia” e deputato nazionale eletto nella circoscrizione Puglia, deducendo argomenti a favore dell’accoglimento del ricorso.
2 All’esito del giudizio il Tribunale adìto, con dispositivo n. 1405 del 20 novembre 2014 e successiva sentenza 28 novembre 2014 n. 1470, dichiarato il difetto di legittimazione passiva dell’Amministrazione statale intimata, accoglieva il ricorso e, per l’effetto, annullava in parte qua gli atti impugnati, correggendo i risultati elettorali e proclamando eletto alla carica di consigliere comunale il sig. Smaldone in luogo della sig.ra Digeronimo.
3 Seguiva da parte di quest’ultima la proposizione del presente appello avverso il dispositivo di tale decisione, seguito da motivi aggiunti dopo la pubblicazione integrale della relativa sentenza.
L’appellante, riprese le proprie difese già illustrate in prime cure, si doleva dell’avvenuto accoglimento del ricorso avversario insistendo sulla sua infondatezza, e sottoponeva a critica le argomentazioni esposte dal primo Giudice.
Resisteva invece all’appello l’originaria ricorrente che, a sua volta, ne contestava il fondamento.
Si costituivano anche in questo grado tanto il sig. Distaso, che domandava la reiezione dell’appello e la conferma della sentenza impugnata, quanto l’Amministrazione statale, nuovamente intimata in giudizio, che tornava ad eccepire il proprio difetto di legittimazione passiva chiedendo di essere estromessa dal processo.
L’appellante con successiva memoria insisteva sulle proprie censure avverso la sentenza in contestazione.
L’originaria ricorrente depositava uno scritto di replica.
Alla pubblica udienza del 31 marzo 2015 la causa è stata infine trattenuta in decisione.
4a La Sezione deve rilevare in via preliminare la carenza di legittimazione passiva dell’Amministrazione statale nuovamente intimata in giudizio e la necessità della sua conseguente estromissione dalla causa, giusta l’apposita eccezione sollevata dalla medesima.
In tal senso ha già provveduto il primo Giudice con la sentenza in epigrafe. E nondimeno l’appellante ha notificato anche ad essa il proprio gravame, senza peraltro muovere contestazioni di sorta avverso il capo di sentenza che aveva già sancito la sua estraneità alla controversia, il quale nel frattempo è divenuto definitivo.
Le relative statuizioni, dunque, non possono che essere senz’altro confermate. Per completezza si evidenzia l’Amministrazione dell’interno e gli organi straordinari che intervengono nel procedimento elettorale non sono parti del giudizio come stabilito univocamente dall’art. 130, co. 3, C.P.A. e riconosciuto da univoca giurisprudenza (cfr. ex plurimis e da ultimo Cons. Stato, Sez. V, 19 giugno 2012, n. 3557).
4b In via preliminare, ancora, deve essere rilevata l’inutilizzabilità delle note d’udienza tardivamente prodotte in giudizio dalla difesa del signor Smaldone in data 28 marzo 2015, in violazione del termine perentorio prescritto dal combinato disposto degli artt. 73, comma 1, e 131, comma 2, del C.P.A. (cfr. ex plurimis e da ultimo Cons. Stato, Sez. V, 7 novembre 2012, n. 5649; 12 giugno 2012, n. 3439).
I contenuti di tale scritto non potranno pertanto essere presi in considerazione.
5 Tanto premesso, l’appello è infondato.
5a La controversia riguarda l’interpretazione del comma 7 dell’art. 73 del d.lgs. n. 267/2000, a norma del quale: “Non sono ammesse all'assegnazione dei seggi quelle liste che abbiano ottenuto al primo turno meno del 3 per cento dei voti validi e che non appartengano a nessun gruppo di liste che abbia superato tale soglia”.
La contrapposizione tra le parti verte sulla prima parte della norma, concernente l’individuazione del concreto risultato elettorale da raffrontare al “3 per cento dei voti validi” al fine di verificare se le liste di volta in volta da considerare abbiano raggiunto, o meno, la soglia di sbarramento prescritta, ossia il quorum necessario per accedere alla ripartizione dei seggi.
Quanto alla seconda grandezza del raffronto appena detto, e segnatamente ai “voti validi” sulla cui base occorre calcolare la soglia del 3 per cento, questa è stata individuata dalla Commissione elettorale nel totale dei “votivalidi espressi a favore dei candidati alla carica di sindaco”, seguendo in ciò il criterio interpretativo esposto nelle istruzioni del Ministero dell’Interno.
5b Conviene altresì ricordare, in punto di fatto :
- che i voti validi complessivamente attribuiti ai candidati alla carica di sindaco sono stati n. 179.065;
- che la sig.ra Digeronimo, in particolare, ha conseguito n. 5.674 voti totali;
- che le 4 liste collegate alla medesima hanno conseguito complessivamente, invece, 5.343 voti.
La Commissione ha assunto il totale dei voti validi riportati dai candidati alla carica di Sindaco quale base su cui effettuare il calcolo del 3 per cento al fine dell’individuazione della soglia di sbarramento di cui al comma 7 dell’art. 73 T.U.E.L. (seguendo così le istruzioni del Ministero dell’Interno, secondo le quali “In applicazione del principio enunciato dal Consiglio di Stato sul calcolo del totale dei voti validi (cfr. sentenze 14 maggio 2010, n. 3021 e 16 febbraio 2012, n. 802) la percentuale del 3% deve essere rapportata ai voti complessivamente espressi con riguardo ai candidati sindaci e non già ai soli voti di lista”).
La Commissione ha determinato la detta soglia, pertanto, fissando in 5.372 -pari al 3 per cento di 179.065- il numero di voti necessario per ritenere raggiunto il limite minimo di rappresentatività delle liste (o gruppi di liste) ai fini dell’accesso alla ripartizione dei seggi.
5c Appare di tutta evidenza, allora, che il valore di soglia appena indicato è destinato ad essere raggiunto, o meno, a seconda che con esso si confronti il numero di voti validi assegnati al candidato sindaco, vale a dire nella specie quelli personalmente conseguiti dalla sig.ra Digeronimo, pari a 5.674, o invece il numero di voti validi ottenuti dalle liste a questa collegate, pari a 5.343 (cifra che alla detta soglia è inferiore). Ed è nella contrapposizione tra le due alternative testé indicate che risiede il nucleo della presente controversia.
6 Prima di affrontare la questione centrale della causa sono però opportune ancora due puntualizzazioni.
6a La prima di esse consiste in ciò, che ai fini della problematica che sta per essere affrontata non ha rilevanza specifica il precedente costituito dalla decisione di questa Sezione n. 1360 del 6 marzo 2013.
Tale sentenza, per quanto richiamata dalla Commissione a conforto del proprio operato, ed insistentemente invocata anche dall’odierna appellante, non concerne, invero, la prima parte del comma 7 dell’art. 73 cit. (ossia quella su cui verte la causa), la quale attiene all’individuazione del concreto risultato elettorale da raffrontare al valore-soglia del “3 per cento dei voti validi”, bensì riguarda la sola definizione di quest’ultimo valore, poiché precisa il senso della relativa locuzione “voti validi”.
La sentenza n. 1360 stabilisce, infatti, che tale locuzione deve essere intesa avendo riguardo al totale dei voti validi espressi a favore dei candidati alla carica di sindaco, e non a quello dei soli complessivi voti di lista. Con il che viene confermata l’interpretazione normativa cui questo Consiglio era già addivenuto, rispetto alla simile formulazione del comma 10 dello stesso articolo, con le precedenti decisioni 14 maggio 2010, n. 3021, e 16 febbraio 2012, n. 802.
E si tratta di un’interpretazione, ampiamente motivata, che anche in questa sede deve trovare conferma (contrariamente a quanto adombrato dall’impugnata sentenza). La parte appellante non ha mosso, del resto, alcuna compiuta argomentazione critica intesa a contestarne la correttezza, né censure di sorta avverso gli atti del procedimento elettorale nella parte in cui ne avevano fatto applicazione (in disparte l’assenza da parte sua di un rituale ricorso incidentale).
6b La seconda opportuna puntualizzazione consiste in ciò, che un candidato sindaco soccombente (come, in concreto, l’attuale appellante) non dispone, in quanto tale, di un titolo autonomo e a sé stante per concorrere all’assegnazione dei seggi consiliari, ma si vede riconosciuto, a mente del comma 11 dello stesso art. 73, semplicemente il “primo” dei seggi di spettanza della sua lista, o gruppo di liste, di riferimento.
Va quindi sottolineato che sono questi ultimi i destinatari dell’assegnazione dei seggi.
7 Fatte queste puntualizzazioni, è il momento di affrontare la questione centrale dell’individuazione del risultato elettorale da raffrontare alla soglia del “3 per cento dei voti validi”.
In proposito occorre stabilire, come già emerso, se debba aversi riguardo, a tal fine, al numero totale di voti validi assegnati al candidato sindaco, o invece a quello dei voti ottenuti dalle liste che lo sostenevano.
La Sezione deve aderire a questa seconda opzione, meritando piena conferma la sentenza impugnata.
7a Il dato testuale in merito si presenta univoco, e sarebbe già di per sé decisivo.
Il comma 7 dell’art. 73, difatti, recita : “Non sono ammesse all'assegnazione dei seggi quelle liste che abbiano ottenuto al primo turno meno del 3 per cento dei voti validi e che non appartengano a nessun gruppo di liste che abbia superato tale soglia”.
Va allora rimarcato che la locuzione “voti validi” è adoperata dal legislatore solo rispetto alla base di calcolo servente alla quantificazione della soglia di sbarramento, e non anche ai fini dell’individuazione del concreto risultato elettorale che con tale soglia deve essere raffrontato.
Quanto a tale risultato concreto, invece, il testo normativo, privo di richiami ai voti ottenuti dai candidati a sindaco collegati, rende chiaro (“Non sono ammesse … quelle liste che abbiano ottenuto…”) che ai fini in discorso occorre avere riguardo proprio all’entità dei suffragi ottenuti dalle singole liste (e dai loro gruppi), che sono, come si è già visto, i destinatari legali dell’assegnazione dei seggi.
7b All’elemento letterale testé illustrato si affiancano, peraltro, non meno pregnanti argomentazioni sostanziali che il Tribunale ha già esposto in modo lineare e persuasivo.
La rappresentatività di una lista, ha rilevato il primo Giudice, è cosa diversa dalla rappresentatività del suo candidato sindaco, atteso che ciascun elettore, in forza dei meccanismi del voto disgiunto, può esprimere due opzioni diverse: da qui la possibile diversità tra l’elettorato che ha votato a favore del candidato sindaco di una coalizione e quello che ha appoggiato le relative liste collegate.
I voti espressi in favore del candidato sindaco di una coalizione potrebbero dunque ben sottendere una scelta difforme, da parte degli stessi elettori, rispetto alle liste in competizione, nel senso che chi vota per un sindaco potrebbe non votare per alcuna lista, oppure per una lista avente un candidato sindaco diverso.
Donde l’irragionevolezza di un’interpretazione del comma 7 cit. che, come quella proposta dalla controinteressata, faccia dipendere la verifica della rappresentatività delle liste, piuttosto che dal totale dei suffragi da queste riportati (suffragi che la detta rappresentatività specificamente misurano), dai voti ottenuti dal relativo candidato sindaco. Ossia da un dato distinto dal primo, e tendenzialmente neutro rispetto alle esigenze proprie della verifica di cui si tratta.
In altre parole, come è stato efficacemente obiettato ex adverso, non è possibile pretendere che i voti riportati dalle liste, ai fini della verifica della loro rappresentatività, vengano integrati mediante voti -quelli del candidato sindaco- che nulla hanno a che vedere con la rappresentatività che si dovrebbe accertare.
7c Non giova, inoltre, addurre in contrario il difetto di omogeneità che in tal modo sarebbe rinvenibile nella valutazione richiesta dal comma 7.
Tale difetto, in tesi, risiederebbe in ciò, che mentre per la definizione della soglia del tre per cento rileverebbe il totale dei voti raccolti dai candidati alla carica di sindaco, con la soglia così determinata andrebbe confrontato, ai fini della verifica di rappresentatività, il dato dei complessivi voti riportati dalle liste, e non quello dei rispettivi candidati a sindaco.
Anche ammesso, tuttavia, che siffatta “disomogeneità” sia realmente predicabile (laddove in concreto sempre di raffronti tra voti si tratta), la stessa costituirebbe comunque il frutto di una specifica scelta legislativa.
Il legislatore, cioè, nella propria discrezionalità, intendendo condizionare l’accesso delle liste alla distribuzione dei seggi al raggiungimento da parte loro, in concreto, di un livello minimo di rappresentatività, ha ancorato quest’ultimo al conseguimento di un certo ammontare di suffragi (pari, come si è visto, al 3 per cento dei voti validi espressi a favore dei candidati alla carica di sindaco).
Né l’appellante ha fornito ragioni che potessero valere a dimostrare che siffatta lamentata “disomogeneità” costituirebbe un disvalore.
7d Per quanto precede, l’interpretazione normativa cui è pervenuto il primo Giudice merita di trovare conferma. Del resto, essa è anche la più coerente con l’obiettivo legislativo di evitare la frammentazione della rappresentanza politica all'interno dei singoli consigli comunali favorendone la governabilità, ratio che questa Sezione ha già valorizzato nella propria precedente pronuncia n. 1360/2013.
7e Poiché, pertanto, alla stregua dell’interpretazione risultata preferibile, le liste collegate alla candidata attuale appellante non avevano superato la soglia di sbarramento, le medesime non potevano accedere alla distribuzione dei seggi consiliari.
E risulta con evidenza irrilevante il fatto che la stessa soglia sarebbe stata invece superata qualora il problema ermeneutico oggetto di causa fosse stato risolto diversamente.
8 A questo punto resta da dire solo della questione di legittimità costituzionale cui l’appellante ha fatto cenno a conclusione del proprio atto introduttivo.
Al riguardo, la parte si è limitata ad affermare sic et simpliciter che, ove la sua interpretazione del comma 7 dell’art. 73 cit. non fosse stata accolta, tale norma, per il fatto di contemplare una comparazione tra grandezze non omogenee per l’individuazione della soglia più volte detta, si sarebbe posta per ciò stesso in conflitto con gli artt. 48, 3 e 1 della Carta.
La questione così dedotta, tuttavia, stante la carenza di una motivazione che la definisca e la connoti, precisando soprattutto il nesso –semplicemente postulato- che intercorrerebbe tra “grandezze non omogenee” e valori costituzionali, risulta del tutto generica e quindi manifestamente infondata.
9 In conclusione, per quanto esposto l’appello deve essere respinto.
La novità della problematica oggetto di controversia induce la Sezione a confermare anche per questo grado di giudizio la compensazione tra le parti delle spese processuali; le spese maturate dall’Amministrazione statale devono però essere senz’altro poste a carico dell’appellante, e sono liquidate dal seguente dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe:
a) dichiara il difetto di legittimazione passiva delle Amministrazioni statali intimate, che per conseguenza estromette dal giudizio;
b) respinge l’appello.
Condanna la parte appellante al rimborso in favore del Ministero dell’interno delle spese processuali del presente grado, che liquida nella misura complessiva di euro duemila oltre gli accessori di legge; compensa le spese tra le altre parti in causa.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella Camera di consiglio del giorno 31 marzo 2015 con l'intervento dei magistrati:
Vito Poli, Presidente FF
Antonio Amicuzzi, Consigliere
Doris Durante, Consigliere
Nicola Gaviano, Consigliere, Estensore
Luigi Massimiliano Tarantino, Consigliere
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 17/04/2015
IL SEGRETARIO
Base dei voti su cui calcolare la soglia del 3 per cento
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